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Diverse le categorie di alimenti ultraprocessati considerate: bevande zuccherate, dolcificanti, snack dolci, alimenti surgelati, snack salati, prodotti per la colazione, piatti di carne lavorata, condimenti
Al termine dell’indagine sono stati identificati 2.122 casi di depressione secondo la definizione più rigorosa e 4.840 casi utilizzando la definizione più ampia. È stato evidenziato che le persone che consumavano più di 8 porzioni di cibi ultraprocessati al giorno avevano un rischio maggiore di depressione rispetto a chi ne consumava meno di 4 (gruppo nel quintile più basso).
Poi i ricercatori hanno analizzato solo le donne che consumavano più di 8 porzioni, confrontando l’associazione di specifici cibi con il rischio di depressione. In questo caso, soltanto le bevande zuccherate artificialmente e i dolcificanti artificiali sono risultati associati a un maggior rischio di depressione.
Chi aveva ridotto l’assunzione di cibi trasformati a meno di 4 porzioni al giorno mostrava anche una riduzione del rischio di depressione rispetto a chi non aveva variato le proprie abitudini alimentari.
«Lo studio è molto interessante - spiega al Corriere della Sera Stefano Erzegovesi, nutrizionista e psichiatra - e ci deve indurre a una riflessione più generale: dobbiamo cominciare a pensare che il nostro cervello è esattamente come il cuore o come le nostre arterie: risente tantissimo di quello che mangiamo».
Secondo gli autori, gli edulcoranti artificiali agirebbero sul microbiota e generando un’infiammazione cronica di basso grado. La neuroinfiammazione cronica potrebbe comportare una minore disponibilità di neurotrasmettitori utili alla regolazione dell’umore.
«L’alimento ultraprocessato per sua natura crea un sovraccarico energetico a livello di qualsiasi cellula, anche le cellule del sistema nervoso centrale - spiega l’esperto -. La densità energetica è alta perché sono cibi privi di fibre e antiossidanti, ma ricchi di calorie rapidamente assimilabili, additivi, conservanti, emulsionanti e stabilizzanti. In pratica le cellule ricevono tanta energia troppo rapidamente e il sistema mitocondriale va in crisi: si producono più radicali liberi e quindi più infiammazione cronica. L’infiammazione cronica è una condizione di continua allerta che può persistere silente all’interno del nostro organismo. A sostenerla sono le cellule del sistema immunitario. È certamente correlata alle malattie più diffuse nel mondo occidentale: diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari (aterosclerosi, infarto, ictus), tumori, malattie neurodegenerative (come l’Alzheimer), osteoporosi. È presente anche nella psoriasi e nella dermatite atopica e ci sono da tempo ipotesi che la correlano alla depressione, all’invecchiamento e a una maggior mortalità negli anziani. I dati più significativi che correlano alimentazione e depressione hanno a che fare con la neuroinfiammazione. Noi immaginiamo il nostro cervello come una specie di zona franca super protetta dalla barriera ematoencefalica, in realtà la componente del tessuto di sostegno e nutrimento di cervello, cioè la glia, è sensibilissima ai livelli circolanti dei mediatori infiammatori e quindi è, a tutti gli effetti, un organismo sensibile a quello che mangiamo, come il resto del corpo».
Viene da chiedersi per quale motivo fra gli alimenti ultraprocessati i peggiori siano le bevande light con edulcoranti artificiali.
«La bevanda, per il fatto di essere liquida, viene assorbita troppo rapidamente - osserva lo specialista -. Nel caso delle bevande zuccherate arriva troppo glucosio alle cellule, che non sono in grado di trattarlo e “si sovraccaricano”. Quando si parla di dolcificanti artificiali, che comunque non contengono zucchero, il meccanismo può riguardare la composizione del microbiota. I dolcificanti artificiali cambiano il microbiota, che, a sua volta, influisce sul cervello in maniera diretta, dato che il nervo vago è una specie di autostrada che connette l’intestino al cervello. Il microbiota sicuramente risente dei dolcificanti e di tutti gli additivi, conservanti e stabilizzanti che ci sono negli alimenti processati».
Dallo studio emerge anche un dato positivo, ovvero la riduzione del rischio di depressione attraverso una riduzione delle porzioni di alimenti trasformati a meno di 4.
«Il fattore di rischio più alto è quello rappresentato dalla somma di tutti gli alimenti processati, quindi la quantità di porzioni è la variabile più forte che aumenta il rischio. “È la dose che fa il veleno”, cioè l’alimento ultraprocessato non è di per sé “depressogeno”. Non bisogna eliminare del tutto dalla propria vita il “cibo spazzatura”, ma limitarlo molto. Nell’alimentazione quotidiana ci sono piatti pre-cucinati, snack alle macchinette, carne pronta da scaldare. È un attimo arrivare a 4 porzioni al giorno, visto il cibo che continuamente ci viene proposto nei supermercati o nelle pubblicità, ma dobbiamo capire che alcune abitudini aumentano il rischio di depressione, oltre che delle più diffuse malattie croniche del mondo occidentale, comprese quelle degenerative, come l’Alzheimer», conclude l’esperto.
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16/10/2023 Andrea Sperelli
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