(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) i pipistrelli a ferro di cavallo è stato in grado di passare agli umani, direttamente attraverso la caccia alla fauna selvatica o indirettamente infettando prima un animale intermedio. È noto che i pipistrelli a ferro di cavallo sono portatori di una grande varietà di coronavirus, compresi ceppi geneticamente simili a quelli che causano il COVID-19 e la sindrome respiratoria acuta grave (SARS).
Frutto di circa un anno di lavoro (cominciato durante il lockdown del 2020), lo studio evidenzia come un cambiamento di uso del suolo insostenibile dal punto di vista ambientale possa innescare lo spillover di nuovi coronavirus. In particolare il team di ricercatori, che nel 2017 aveva già pubblicato uno studio sul legame tra l’epidemia da virus Ebola e la frammentazione delle foreste, ha utilizzato dati satellitari ad alta risoluzione per analizzare i pattern di uso del suolo nelle regioni popolate dal pipistrello ferro di cavallo.
Le analisi di deforestazione, frammentazione, distribuzione dei terreni coltivati, densità degli allevamenti di animali, insediamenti umani e cambiamenti nell'uso del suolo nelle regioni popolate dai pipistrelli ferro di cavallo - un'area totale superiore a 28,5 milioni di km quadrati, che si estende dall’Europa occidentale fino all’Asia orientale - ha consentito agli autori di identificare le aree di “hotspot” per lo spillover dei coronavirus dagli animali all’uomo.
“I cambiamenti nell'uso del suolo possono avere un impatto importante sulla salute umana, sia perché stiamo modificando l'ambiente, ma anche perché possono aumentare la nostra esposizione alle malattie zoonotiche", afferma Maria Cristina Rulli, docente di Water and Food security al Politecnico di Milano.
“Ogni cambiamento dell'uso del suolo dovrebbe essere valutato non solo per gli impatti ambientali e sociali su risorse come riserve di carbonio, microclima e disponibilità di acqua, ma anche per le potenziali reazioni a catena che potrebbero avere un impatto sulla salute umana” aggiunge il coautore dello studio Paolo D'Odorico, professore di scienze ambientali, politica e gestione all'Università di Berkeley.
La maggior parte degli attuali hotspot sono situati in Cina, dove una crescente domanda di prodotti alimentari di origine animale ha determinato l'espansione dell'allevamento industriale su larga scala: “L’allevamento intensivo può essere pericoloso a causa della alta concentrazione di animali geneticamente simili, spesso immunodepressi, che possono essere altamente vulnerabili alle epidemie” sottolinea Maria Cristina Rulli.
Lo studio mostra inoltre le zone che potrebbero diventare hotspot a causa di un cambiamento di uso del suolo.
“Le analisi avevano anche l’obiettivo di identificare la possibile comparsa di nuovi hotspot in risposta a un aumento di uno dei tre attributi di uso del suolo, evidenziando sia le aree che potrebbero diventare adatte allo spillover, sia il tipo di cambiamento di uso del suolo che potrebbe indurre l'attivazione degli hotspot", afferma Maria Cristina Rulli. “Auspichiamo che questi risultati possano essere utili per identificare interventi mirati volti all’aumento della resilienza agli spillover di coronavirus.
Comprendere le circostanze in cui i coronavirus possono passare dagli animali selvatici all'uomo è fondamentale per cercare di evitare future epidemie o pandemie come quella da COVID-19.
"La salute umana è connessa con la salute ambientale e anche con la salute degli animali. Il nostro studio è uno dei primi ad associare pattern di uso del suolo insostenibile a possibili spillover di zoonosi, considerando l’uso del suolo insostenibile come mezzo attraverso il quale l’uomo entra in contatto con specie ospiti di virus", conclude Maria Cristina Rulli.
Notizie specifiche su: coronavirus, hotspot, allevamenti, 01/06/2021 Andrea Sperelli


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