(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) AAIITO condotto su 500 pazienti ricoverati per polmonite Covid-19 ha evidenziato che la percentuale di pazienti affetti anche da asma bronchiale era molto bassa, inferiore a quello della popolazione generale. Quindi l’asma allergico si differenzia da altre patologie che aumentano il rischio di polmonite grave Covid-19, come la bronchite cronica (BPCO), l’obesità, il diabete, le malattie cardiovascolari e l’insufficienza renale cronica.
La spiegazione risiede nella patogenesi della polmonite da Covid-19. Nella polmonite da virus SARS-CoV-2, infatti, sono state identificate varie fasi: una iniziale, che corrisponde alla replicazione virale, e una fase successiva che compare dopo 7-10 giorni dall’esordio dei sintomi, in cui si possono sviluppare le complicanze più gravi: la polmonite e l’insufficienza respiratoria. Questa seconda fase è caratterizzata dalla produzione di citochine TH1, in particolare vengono prodotti alti livelli di interleuchina 6 e interleuchina 1. Questa risposta infiammatoria violenta porta al danno polmonare, all’insufficienza respiratoria e, nei casi più gravi, alla necessità di intubazione.
“Il paziente con asma allergico ha preferenzialmente una risposta TH2 caratterizzata dalla produzione di citochine TH2”, chiarisce il dott. Tedeschi “Quindi l’orientamento del sistema immunitario dei pazienti con asma allergico a produrre risposte di tipo TH2, in un certo senso, protegge dalle conseguenze più gravi dell’infezione da SARS-CoV-2, che sono dovute alla cosiddetta “cytokine storm” (tempesta di citochine). L’effetto protettivo non sembra valere invece per le forme di asma non allergico, in cui non c’è una risposta immunitaria preferenziale di tipo TH2”.
Dal punto di vista della terapia l’infezione da Covid-19 non ha avuto un grosso impatto. Si è visto che le terapie seguite dai pazienti asmatici allergici, come broncodilatatori, steroidi e farmaci biologici non rappresentano un fattore di rischio per lo sviluppo delle complicanze più gravi. Tuttavia, è stato dimostrato che i pazienti asmatici o affetti da malattie autoimmuni sistemiche che assumevano dosi elevate di cortisonici per bocca erano più a rischio della popolazione generale di sviluppare una polmonite grave. “Questo perché la terapia cortisonica sistemica prima dell’infezione potrebbe facilitare la replicazione virale nella prima fase della malattia”, chiarisce il dott. Tedeschi “Mentre nella seconda fase della polmonite Covid-19 (dopo 7-10 giorni dalla comparsa dei sintomi) il cortisone è utile per spegnere quella risposta immunitaria violenta che porta al danno polmonare”.
La rinite allergica e l’allergia ad alimenti non presentano un rischio aumentato di sviluppare la polmonite da SARS-CoV-2 né complicanze più gravi, così come le terapie assunte per queste patologie (cortisone locale, antistaminici, immunoterapia).
L’infezione da SARS-CoV-2 provoca frequentemente delle manifestazioni cutanee di vario tipo, tra cui l’orticaria. In circa 1/3 dei pazienti con orticaria cronica è stata segnalata una riacutizzazione della stessa a seguito dell’infezione da SARS-CoV-2, ma queste persone non sono più a rischio della popolazione generale di sviluppare le conseguenze più gravi dell’infezione. Inoltre, le terapie utilizzate per il trattamento dell’orticaria non hanno aumentato in alcun modo il rischio di polmonite Covid-19.
Per quanto riguarda la dermatite atopica, non ci sono state segnalazioni di esacerbazione della stessa dovute al Covid-19 e le terapie utilizzate come il cortisone per via locale o i farmaci biologici non influiscono sul rischio di sviluppo della polmonite. Qualche rischio in più, invece, è stato evidenziato in pazienti con dermatite atopica trattati con immunosoppressori per via sistemica o con dosi elevate di cortisone per bocca.
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Notizie specifiche su: allergie, Covid, asma, 30/11/2022 Arturo Bandini


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