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alla 1° pagina..) gruppo di Courtine. In una pubblicazione su Nature Neuroscience, i ricercatori elvetici avevano dimostrato che grazie a un mix di farmaci e stimolazioni elettriche, il midollo spinale dei ratti colpiti da paralisi riusciva a rispondere a uno stimolo esterno, in quel caso un tapis roulant che scivolava sotto le zampe dei topolini. Ciò aveva suggerito ai ricercatori la possibilità che il midollo spinale possedesse una qualche forma di intelligenza autonoma rispetto al cervello e fosse in grado di elaborare alcune informazioni di base per consentire ai muscoli di riprendere a muoversi. Il movimento registrato dai ricercatori in quell'occasione era tuttavia di tipo involontario, mancando la connessione con il cervello. In quest'ultima ricerca, gli scienziati hanno cercato di superare l'ostacolo. Lo hanno fatto introducendo l'allenamento alle precedenti fasi dell'esperimento.
La prima parte della ricerca si è svolta quindi nello stesso modo di quella precedente: “per trasformare i circuiti da dormienti a un alto stato funzionale abbiamo somministrato un cocktail di agenti farmacologici e applicato una stimolazione elettrica sulla parte esterna del midollo spinale”. Per arrivare ai movimenti volontari, i ricercatori hanno pensato all'utilizzo di un sistema robotizzato che aiutasse i topi nei momenti di difficoltà. I ratti erano peraltro stimolati dalla possibile ricompensa a base di cioccolato prevista dai ricercatori. Passate due settimane dall'inizio dell'allenamento, i topolini hanno cominciato a fare i primi passi in maniera volontaria. Il principio su cui hanno agito gli scienziati è quello della plasticità cerebrale, in grado di mettere in campo nuove connessioni per recuperare quelle perdute a causa della lesione: “abbiamo registrato un aumento di quattro volte del numero di fibre nervose tra il cervello e il midollo spinale. Una ricrescita che prova lo straordinario potenziale della neuroplasticità anche dopo un serio danno al sistema nervoso centrale”, ha commentato una delle autrici dello studio, Janine Heutschi.
Ciò che ci si aspetta, ovviamente, è trasferire questi risultati sull'uomo, ma su questo punto i ricercatori sono assai cauti, dal momento che i tempi potrebbero essere piuttosto lunghi. Nel giro di un paio di anni, comunque, il dott. Courtine spera di poter avviare una sperimentazione di fase II per verificare la bontà dell'approccio sull'uomo. La ricerca elvetica peraltro partecipa a pieno titolo a NeuWalk, un progetto di più ampio respiro - di cui fa parte per l'Italia la Scuola superiore Sant'Anna di Pisa - volto a trovare nuove soluzioni per la messa a punto di una neuroprotesi in grado di migliorare significativamente la qualità di vita dei pazienti paralizzati.
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Andrea Piccoli
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