(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) al cervello attraverso il nervo vago, che collega questi organi”, ha spiegato Elizabeth Bess, professoressa nel Dipartimento di Chimica e ricercatrice principale del lavoro, da anni impegnata con il suo team nello studio del microbioma umano.
“Quindi, se possiamo fermare la formazione di aggregati nell’intestino, c’è la possibilità che queste proteine non raggiungano il cervello e non causino il Parkinson” continua Bess. “Ora che abbiamo scoperto come si formano questi aggregati, possiamo trovare modi per impedirne la formazione”.
Una volta compreso che questi aggregati proteici originano nell’intestino, il prossimo passo per il team guidato da Bess è scoprire più nel dettaglio il percorso di questi frammenti proteici. In collaborazione con Jennifer Prescher, professoressa di chimica alla UC Irvine, il gruppo sta quindi “etichettando” le proteine con molecole bioluminescenti che emettono luce e sono tracciabili mentre si muovono nel corpo.
“Possiamo tracciare la proteina dalle cellule intestinali e vedere se arriva ai neuroni, che è il meccanismo proposto per il passaggio dall’intestino al cervello” chiarisce Bess. “I grumi di alfa-sinucleina si trovano nell’intestino molti anni prima che i sintomi della malattia si manifestino, quindi esiste una reale finestra di opportunità per fermare la formazione di queste proteine patogene prima che diventino un problema maggiore”.
Ma c’è di più. Il team di Bess, in collaborazione con Aida Ebrahimi, professoressa di ingegneria elettrica di Penn State ha recentemente scoperto che un componente del caffè può prevenire la formazione degli aggregati proteici nelle cellule intestinali. “Altri studi hanno dimostrato che bere caffè riduce il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson, e le nostre scoperte fanno luce su come ciò potrebbe funzionare”, ha riferito Bess, i cui risultati stanno gettando le basi per nuovi trattamenti mirati alle proteine prima che queste raggiungano il cervello.
“L’idea che il morbo di Parkinson possa iniziare nell’intestino è un po’ insolita rispetto alla concezione tradizionale del Parkinson”, ha concludo Bess. “Ma la nostra ricerca sta tracciando una mappa su come ciò sia possibile. Speriamo che il nostro lavoro apra nuove strade per trattamenti migliori per aiutare le persone affette da questa malattia”.
La ricerca è stata finanziata dal National Institute of Neurological Disease and Stroke dell’Nih e dai Scialog Grants, sponsorizzati congiuntamente dalla Research Corporation for Science Advancement, dalla Frederick Gardner Cottrell Foundation e dal Paul G. Allen Frontiers Group.

Fonte: AboutPharma
Notizie specifiche su: Escherichia, Parkinson, alfa-sinucleina, 08/11/2024 Andrea Sperelli


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